Two Rooms – Aprite quella porta
Da bambino, come tutti, spesso la casa dei nonni era il posto in cui finivo causa impegni lavorativi dei miei genitori o semplici svaghi serali che ogni coppia, ogni tanto, merita di vivere nonostante i figli. Nonostante sì… poco politically correct lo so.
Così succedeva che mi ritrovavo su una vecchia poltrona verde oliva di velluto, con i braccioli poderosi, le cuciture pesanti e quella comodità inglobante che mi cullava in un preciso momento sospeso tra il “mi addormento” e il “continuo a guardare” il cartone davanti a me.
I miei nonni sparsi nella spaziosa casa popolare di Via Sant’Igino Papa, al centro della periferia romana che mi ha cresciuto, e sullo sfondo quell’alternarsi di vociare e gingle pubblicitari ad interrompere la mia attenzione nei confronti del grande schermo.
Alla mia sinistra un lungo corridoio e una porta socchiusa. La sala da pranzo, in cui mi trovavo, immersa nella luce bluastra emanata dalla televisione sembrava essere un grande acquario dove io, piccolo pesce, nuotavo nell’immensità di quei mq che potevano essere 100 come 1000. Tutto oggi me lo ricordo come fosse un’enorme bolla che attutisce i contorni. I miei nonni, quella casa, quella poltrona, tutto sembra così distante oggi ma non quel corridoio. Non quella porta.
Circa 10 metri di freddo marmo e nient’altro e poi lei. La soglia che divideva il reale da ciò che la mia mente immersa nel buio televisivo della casa immaginava potesse contenere.
Quei pochi centimetri di spazio che aprivano l’oltre mostrandomi il buio di una tumulazione notturna causata dal completo asserragliamento dei miei nonni nella loro casa. Eppure ogni volta che mi giravo verso quel corridoio da quella porta usciva un braccio. Veloce eppure abbastanza lento da fissarsi nella mia mente ancora oggi, 30 anni dopo quella poltrona e la morte di ognuno degli abitanti di quella casa. Oggi, quando ci torno, la poltrona verde oliva non è più in quella sala. Il tubo catodico non è sopravvissuto all’incedere del tempo e proprio come i miei nonni non abita più lì. Assurdo come manchi tutto di quello che ricordavo tranne lei. Quella porta.
…blam!
Two Room è il nuovo gioco ideato da Yutrio ed edito da Fever Games. Un filler cooperativo per 2 persone che metterà al centro del tavolo proprio 2 porte dentro le quali i personaggi (le carte) faranno capolino entrando e uscendo con l’intento di mettere in salvo Nina, ovvero la protagonista della storia ideata per lo sfondo di questo gioco.
Ci troviamo nella casa di montagna degli zii di Nina assieme alla protagonista, il cugino Joshua e uno strano personaggio: Harman. Il losco figuro, amico sedicente della coppia di anziani parenti, si aggira per la casa e tutto attorno a lui prende contorni sinistri.
Al centro della storia due porte: una rossa e una blu. La bella particolarità, nonché gustosa intuizione, è la scatola del gioco. Questa rappresenta fisicamente le due porte e viene piazzata al centro del tavolo. Tutto girerà attorno a loro e il mistero si svilupperà all’interno di esse.
Per mettere in salvo Nina avremo a disposizione 15 carte (8 nemici e 7 amici), 1 carta scantinato e 5 schede fronte retro (1 riassunto del turno e 4 schede livello).
Il set up è rapidissimo: si posizionano le due porte, si sceglie la difficoltà del livello che si vuole affrontare e le relative carte richieste da questo mescolandole. Infine si mette la buon’anima di Nina all’interno della porta blu.
Core del gioco sono proprio le 15 carte, la loro ripartizione morale e le azioni presenti su di queste. Ad ogni turno il giocatore NON di turno dovrà chiudere gli occhi e l’altro dovrà pescare una carta dal mazzo di pesca e aggiungerla alle altre presenti dentro una delle due porte (a sua scelta). Dopodiché prenderà il mazzo scelto e ne risolverà gli effetti affrontando una carta alla volta.
In termini molto spicci affronterete prima i cattivi che hanno valore inferiore al 10 e poi quelle amiche. Le azioni, laddove possibile, dovranno essere effettuate e questo comporterà lo spostamento di alcuni personaggi da una stanza all’altra o il ferimento di altri. Tutto questo deve, ovviamente, essere fatto nel maggior silenzio possibile. Aiutatevi con una colonna sonora degna, provate a calarvi nel giusto mood non cercando di ponderare e matematicizzare il gioco. Non è questo il suo scopo, non deludete il bambino che è in voi.
Dopo aver svolto l’azione e prima di passare il turno il giocatore deve dichiarare l’esito dello stesso. Gli scenari possibili sono 3:
- Silenzio: non è successo nulla
- Sangue: qualcuno è stato ferito e il personaggio agonizzante viene messo nello scantinato.
- Fuga: Herman è stato ferito e abbiamo raggiunto il nostro primo obiettivo. Ora possiamo provare a vincere sempre che non sia stata ferita anche Nina nello stesso turno.
Se non provochiamo la fuga il gioco continuerà fino a quando il mazzo di pesca non sarà terminato senza che noi siamo riusciti a sconfiggere Herman; Nina è stata ferita (si perde anche in questo caso) oppure, terzo ed ultimo disperato caso, il giocatore dichiara la fuga e se Nina non è stata ferita passiamo alla fase esplorazione.
In questa fasi si potrà finalmente parlare senza però rivelare troppo. Provando a dare piccoli indizi. Il turno a passa a colui che non ha ferito Herman. Questo dovrà indovinare in quale delle due porte si trova Nina riuscendo così a salvarla e a tirarla letteralmente fuori da questo incubo.
Conclusioni
Two Rooms nasce da un’ottima idea, si sviluppa con un bel prodotto e si conclude con un’esperienza sicuramente particolare. Molto di quest’ultima parte però è nelle mani del giocatore. Come molti cooperativi (ma anche party game) la riuscita del gioco è nelle persone e nell’atmosfera che queste sapranno creare. Se si guarda alle carte come meri numeretti scritti su dei pezzi di carta e l’unico scopo è quello di trovare l’ordine giusto in cui giocarle allora certo, il gioco non toccherà le vostre corde. Se anche io da bambino mi fossi reso conto che la mano era solo la proiezione delle mie paure probabilmente non avrei oggi quel mistico ricordo e avrei già avuto barba e baffi a 7/8 anni.
Questo per dire che il gioco da tavolo spesso non è mera partecipazione ma è immedesimazione. Feci un discorso simile su Michael (trovate qui la mia invettiva). Spesso si attribuisce al gioco stesso la riuscita o meno dell’intento che noi pensiamo debba avere. Non ci rendiamo conto che siamo noi a proiettare le nostre aspettative sul gioco. Lui sarà sempre un insieme di cartone, legno, plastica e parole. Sarà sempre un oggetto. Sta a noi dare forma e sostanza a quello che lui vuole diventare.
Il prezzo è basso, poco da dire. Un gioco che merita una prova e forse anche due. La sua longevità, per il suo essere questo tipo di gioco, potrebbe essere un tallone d’Achille ma anche lì, cercate voi le motivazioni. Lasciatelo decantare quando sarete assuefatti e privi di volere. Dategli nuove chance e quando ne sarete ebbri fatelo girare. Lasciate che provi ad emozionare altri.
Tornassi indietro in quella casa di Sant’Igino Papa riabbraccerei mia nonna, intenta a pulire i piatti della cena. Oppure correrei nello studio di mio nonno, dove spesso spippettava la sua sigaretta davanti a un TG qualunque, che riportava le tragedie di oggi coi colori degli anni ’90. Quello che non farei mai sarebbe alzarmi da quella poltrona verde oliva, affrontare quel corridoio e provare a cancellare quella paura che ancora oggi, ringraziando Dio, percorre la mia schiena al sol voltarmi indietro negli anni.
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